Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Riosalto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
Era mia madre e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto fra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano,
tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu che hai nel cuore la marina brulla
Tu dai retta alla sua voce fanciulla"
La cavalla volgea la scarna testa
Verso mia madre che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte!
Con lui c'eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve fra l'ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via
perché facesse in pace l'agonia."
La scarna lunga testa era daccanto
Al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole
perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l'abbracciò sulla criniera.
"O cavallina, cavallina storna
portavi a casa sua chi non ritorna!
A me! Chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona...ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina, altri non osa.
Oh ma tu devi dirmi una, una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che la uccise:
esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome...sonò alto un nitrito.
"Ci sono persone che, vedendo l'immagine della bellezza, sono trasportate nella sfera intellettuale, altre che hanno un pensiero troppo pigro e nulla le commuove..."
Plotino
Questa lirica di Giovanni Pascoli, contenuta nei "Canti di Castelvecchio", riguarda il periodo breve in cui la mamma del poeta sopravvisse all'uccisione di suo marito: "mia madre pianse un anno e poi morì".
Ma le grandi poesie non si fanno esternando i sentimenti, bensì attraverso l'assoluta padronanza tecnica della materia, altrimenti piacerebbero solo ai quattordicenni.
Cominciamo allora col dire che "La Cavalla Storna" (cioè col manto bruno a macchie bianche, come la livrea degli storni) è scritta in distici di endecasillabi in rima baciata: questa è già una stranezza perché generalmente la rima baciata si usa per scrivere filastrocche o ninne nanne, non per descrivere la disperazione di una povera donna.
Chi se ne intende obietterà che con questo tipo di rima (e peggio ancora: in ottonari!) Tommaso da Celano ha scritto il "Dies Irae" e Jacopone da Todi lo "Stabat Mater" (anche se con il senario sdrucciolo in terza sede, che ritmicamente è lo stesso). L'ottonario però è un verso ambiguo, semplice e primitivo, che può tranquillizzare o anche inquietare.
Torniamo allora alla "Cavalla Storna" e alla sua costruzione. Eh già, perché la poesia è un'arte monodica e nasce storicamente assieme alla musica ma, in questo caso, si rifà a una architettura algida e presenta una struttura quasi banale:
1) PROLOGO
2) 1° DISTICO (cavalla-madre)
3) 1° MONOLOGO ANAFORICO ( "O cavallina...")
4) 2° DISTICO (cavalla-madre)
5) 2° MONOLOGO
6) 3° DISTICO (cavalla-madre)
7) 3° MONOLOGO
8) 4° DISTICO (cavalla-madre)
9) 4° MONOLOGO
10) EPILOGO
Questa l'architettura.
Passiamo ora all'aritmetica: i distici descrivono sempre, nel primo verso, lo stato della cavalla, nel secondo quello della madre del poeta:
Primo distico:
"CON SU LA GREPPIA UN GOMITO DA ESSA
STAVA MIA MADRE E LE DICEA SOMMESSA"
La cavalla sta semplicemente lì, alla greppia (nessun aggettivo);
La madre è "sommessa" (un aggettivo).
Secondo:
"LA CAVALLA VOLGEA LA SCARNA TESTA
VERSO MIA MADRE CHE DICEA PIU MESTA"
La cavalla ha la testa "scarna" (un aggettivo);
La madre è "più mesta" (un solo aggettivo, ma con il "più" davanti. Comincia il "climax").
Terzo:
"LA SCARNA LUNGA TESTA ERA DACCANTO
AL DOLCE VISO DI MIA MADRE IN PIANTO"
La cavalla ha la testa "scarna e lunga" (due aggettivi);
La madre scoppia a piangere (continua il "climax").
Quarto:
"STAVA ATTENTA LA LUNGA TESTA FIERA
MIA MADRE L'ABBRACCIO' SULLA CRINIERA"
La testa della cavalla è "attenta, lunga e fiera" (tre aggettivi);
La madre fa un gesto scomposto: abbraccia la cavallina (Il climax è al massimo).
Che c'entra l'aritmetica con la poesia? (uno, due, tre aggettivi!). E' Un caso?
Passiamo ora alla musica, che ha un "incipit" maestoso:
"NELLA TORRE IL SILENZIO ERA GIA' ALTO"
In poesia le vocali finali e iniziali di due parole conseguenti si legano di norma per "sinalèfe". In questo caso ("già alto") non si legano perché ambedue le "a" sono accentate. Ma qui si vuol anche far levitare musicalmente il "silenzio": provate a leggere il verso a voce alta, lentamente, e percepirete l'effetto acustico-sensoriale della doppia "a".
Inoltre, una persona comune non direbbe del silenzio che è "alto", o meglio, quasi nessuno se ne accorge; il che fa della poesia, come di ogni altra arte, una disciplina aristocratica.
"SUSSURRAVANO I PIOPPI DEL RIOSALTO"
Immediata e apparente contraddizione: all'inizio il lettore viene immesso nel "silenzio" ma, subito dopo, avverte due impalpabili rumori: il sussurrìo dei gattici ("custodes venti" perché il minimo refolo agita le loro foglie) e il masticare dei cavalli dalla stalla (anche "L'Aquilone" inizia con un ossimoro inquietante: "C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole/ anzi, d'antico.").
"FRANGEAN LA BIADA CON RUMOR DI CROSTE"
Questa è una banale allitterazione onomatopeica della "erre", che non varrebbe neanche la pena di citare se non avesse un legame musicale con l'epilogo della poesia: "Dormian sognando il rullo delle ruote").
Che strana coincidenza!
Andiamo oltre.
Il titolo di questa poesia è: "La Cavalla Storna", però la mamma del poeta la chiama sempre "cavallina". E certo! Perché: "...NELLE FROGE AVEA DEL MAR GLI SPRUZZI / ANCOR...", quindi era giovane.
E non dimentichiamo gli "orecchi aguzzi", perché in seguito faranno diventare la sua testa "attenta".
Veniamo ora ai monologhi anaforici:
"O CAVALLINA, CAVALLINA STORNA
CHE PORTAVI COLUI CHE NON RITORNA"
Riportare materialmente a casa qualcuno che, in realtà, non ritorna perché morto, potrebbe sembrare poco più che una buona trovata; ma in realtà questo tormentone ninnanannesco, ripetitivo, ha un senso psico-architettonico, perché alla fine, come vedremo, si spezzerà musicalmente nel secondo endecasillabo.
La cavallina capiva il "cenno" e il "detto" del suo giovane padrone, quindi era ben domata ma, come qualsiasi animale non impazzito, aveva rispetto istintivo per tutti i "cuccioli", compresi quelli d'uomo: dà retta a una piccola mano fanciulla che non ha toccato mai briglie, nonostante abbia "ai fianchi l'uragano".
Dopo la seconda anafora la madre comincia a non ragionare più, e a immaginare, anzi a descrivere, quello che è successo alla cavallina durante e dopo il delitto: "...tenesti nel cuore il tuo spavento" e poi le dice che ha sentito lasso nella bocca il morso, che ha premuto il corso, che ha continuato adagio la sua via...come fa a saperlo? Non tanto e non solo perché lo immagina, quanto perché vuole arrivare alla domanda finale, non tanto assurda, visto che "la scarna lunga testa era daccanto"
"AL DOLCE VISO DI MIA MADRE IN PIANTO"
Questo endecasillabo contiene le parole più semplici del mondo. Ma chi di noi sarebbe in grado di descrivere il dolore per il dolore della nostra mamma con questa semplicità (appunto) in sole undici sillabe?
E poi comincia un'argomentazione insistente, tipicamente femminile, soprattutto quando si è state innamorate: "Oh! Due parole egli dové pur dire!".
Qui si spezza la disperazione e subentra una razionalità del tutto irrazionale: quella cavallina deve aver sentito pronunciare dal suo padrone il nome dell'assassino, ma come fa a riferirlo?
"STAVA ATTENTA LA LUNGA TESTA FIERA"
Dite la verità: quelle due " t ", contenute nell'aggettivo "attenta", non danno l'impressione che la cavalla abbia drizzato gli orecchi (gli orecchi aguzzi)?
Ed ecco il break dell'anafora:
"PORTAVI A CASA SUA CHI NON RITORNA!
A ME CHI NON RITORNERA' PIU' MAI!".
Perdio! Reagisci in qualche modo! Perché:
"TU L'HAI VEDUTO L'UOMO CHE L'UCCISE:
ESSO T'E' QUI NELLE PUPILLE FISE!"
E qui l'accanimento investigativo si incarognisce:
"CHI FU? CHI E'? ...TI VOGLIO DIRE UN NOME
E TU FA CENNO. DIO T'INSEGNI, COME"
La lirica è apparentemente conclusa: quella donnina pretende che la cavalla sveli un mistero, e il finale è scontato: tutti si aspettano che l'animale nitrisca ascoltando il suono di un nome che conosce.
Subito però!
Invece qui c'è una specie di "coitus interruptus": nel Prologo abbiamo saputo che i cavalli normanni stavano semplicemente alle "lor poste", masticando la biada. Ora, nell'Epilogo, prima e in vece dell'atteso nitrito, arriva la descrizione di quello che stanno sognando. Vi sembra normale? Eppure è così:
"ORA I CAVALLI NON FRANGEAN LA BIADA:
DORMIAN SOGNANDO IL BIANCO DELLA STRADA.
LA PAGLIA NON BATTEAN CON L'UNGHIE VUOTE:
DORMIAN SOGNANDO IL RULLO DELLE RUOTE"
Peraltro, nell'ultimo distico compaiono le due parole che caratterizzano il primo: "silenzio" e "alto".
E' un caso? No!
Architettura, aritmetica, musica. E' così che è stata costruita "La cavalla storna".
Fanno bene le maestre a farla studiare nelle scuole elementari perché i bambini, a volte, "sentono" le cose geniali più degli adulti.
Fa male chi si permette di esprimere giudizi incompetenti.
E adesso provate a rileggervi l'intera poesia a voce alta, senza commuovervi, se ci riuscite.